Serra del Prete

Una cima che non era nei programmi
Escursione nata un passo alla volta, non era nei progetti salire in vetta alla Serra del Prete, sembravano non esserci le premesse ma una volta sul belvedere Malavento e sulla spanciata dorsale, l'assenza di neve ha messo il motore alle gambe. Un passo alla volta fin dove si può ci siamo detti ed è stata vetta. Sotto sferzate di vento fortissime e grazie alla linea di cresta prevalentemente scoperta ci siamo arrivati.


Secondo i programmi la seconda giornata lucana ci doveva vedere ingaggiati con la salita alla Serra Dolcedorme, dal colle dell’Impiso. Ieri durante la salita alla Serra di Crispo abbiamo visto neve dai 1700m. in poi e abbondante oltre i 1900m; i versanti Ovest del Pollino e purtroppo di Serra Dolcedorme sembravano veramente carichi. Non avevamo attrezzatura invernale e viste anche le pendenze del tratto finale che precede la vetta abbiamo per forza dovuto ripiegare in un velocissimo piano B dell’ultimo momento. Le gole del Raganello, che sarebbe stato bello visitare, erano sul versante opposto, molto più lontane del santuario della Madonna del Pollino raggiunto ieri, non ce ne andava di rifare la scorpacciata di curve che ancora non avevamo digerito; le montagne sul versante dove ci trovavamo erano percorse da sentieri ma pochi erano interessanti e quasi tutti non mettevano naso fuori dai boschi, davvero ho avuto problemi a trovare una meta che desse qualche obiettivo, se ci si alzava si finiva nella neve, se ci si teneva bassi non si usciva dalla boscaglia. Serra del Prete era la montagna più vicina a noi ma con i sui 2181m. ci avrebbe portato sicuramente in mezzo alla neve, il versante che sale dal colle dell’Impiso che vedevamo ieri dalla Serra di Crispo oltre tutto sembrava stracarico di neve fin dalle quote basse, lo ricordavo ripido in certi tratti, non mi è sembrata una buona idea da percorrere e alla fine ho deciso per una passeggiata dai Piani di Ruggio per la valle di Malevento fino al belvedere omonimo; era breve ma sembrava assicurare una bella visuale e soprattutto un ulteriore contatto coi Pini Loricati, almeno stando alla grafica della carta. Il meteo nel pomeriggio avrebbe dovuto anche guastare per cui l’approccio soft poteva andar bene, alla meglio avremmo potuto fare una ricognizione sulla lunga cresta Ovest della montagna e almeno affacciarci a quote più alte fin tanto le condizioni lo avrebbero consentito. Tutto questo ragionamento lo abbiamo fatto di ritorno dalla Serra di Crispo, dopo una bella doccia, e col piano B deciso potevamo abbandonarci all’idea della gustosa cucina lucana che ci avrebbe atteso da li a poco. Alloggiando sulla strada che sale al Fasanelli, per raggiungere i Piani di Ruggio servono una ventina di minuti, incontriamo qualche problema a superare un tratto di strada immersa nella faggeta invasa da neve, libere erano solo le “rotaie” dove le auto transitate avevano nel tempo consumato la traccia. I Piani ne erano totalmente liberi, il sole aveva fatto il suo dovere, raggiungiamo il rifugio De Gasperi chiuso da tempo, e circa mezzo chilometro dopo direzione colle dell’Impiso ci fermiamo lungo la strada all’altezza di una carrareccia, sbarrata da una catena, che entra nel piano. Non siamo i primi ma lo siamo ad incamminarci, giornata non ideale, fresca, ventilata, un po' grigia, c’erano le condizioni perché la previsione della pioggia nelle prime ore del pomeriggio la facessero peggiorare. L’imbocco della valle del Malvento non è difficile da individuare, sulla parte opposta della piana, dove la lunga dorsale della Serra del Prete quasi incontra quella più ripida del Timpone della Capanna, la larga valle prende ad inoltrarsi quasi in piano, coperta da una faggeta ancora spoglia. Il piano, impregnatissimo d’acqua è puntellato da grosse colonie di crocus, la presenza della neve inizia ai margini della valle, è molle e bagnata, le orme di chi ci ha preceduto nei giorni scorsi ci aiutano a bagnarci meno; in leggerissima salita la valle si allunga rettilinea mentre la dorsale della Serra del Prete sulla sinistra si abbassa velocemente sormontata da scure e grosse nubi lenticolari. Un tratto di faggeta più fitta dura poco, in fondo si intravede già un orizzonte lontano e più luce, si tratta del belvedere riportato sulle carte, un chilometro esatto dalla partenza, ma andremo a fargli visita al ritorno perché all’altezza di una palina con tanto di segnaletica per la vetta prendiamo a sinistra (+ 30 min.), un breve traverso in leggera salita ci porta fuori dalla faggeta, ai piedi della dorsale che scende dalla Serra del Prete, al limitare di rocciosi strapiombi popolati da magnifici Pini Loricati, la storia si ripete, dove i faggi lasciano spazio e dove le condizioni si fanno estreme i Pini ritornano principi incontrastati. Un affaccio stupendo, Morano Calabro mille metri più in basso incastrato tra il Pollino i monti Caramolo che fanno parte del più famoso gruppo dell’Orsomarso, più lontana, verso Sud, oltre la piramide del monte Monzone la piana di Castrovillari è coperta dalla foschia, si ha la sensazione di intravedere la linea del mare. Potrebbe essere il Tirreno poco sotto Scalea, ci piace pensarlo. Sulla destra, oltre la valle, si alza brullo il Timpone della Capanna, uno spicchio del ripido versante Ovest è privo di faggeta, forse troppo ripido ed esposto ai venti, è un’autentica nursery per i Loricati, pochi gli esemplari monumentali ma molti sono i “cuccioli” un buon viatico per la conservazione e la propagazione della specie. Se li sotto esisteva una valle ed un belvedere che prendevano nome del Malvento non era difficile capirne le ragioni, sulla scoperta dorsale eravamo sbattuti da un fresco e fastidioso vento che ci ha costretti a rinforzare presto il vestiario. La giornata senza una meta precisa stava crescendo un passo alla volta, la spanciata dorsale rocciosa saliva lenta, impediva ogni visuale in alto e non permetteva di capire come sarebbe proseguita, non c’era neve fin tanto si riusciva ad avere una linea di orizzonte, e già questo era una sorpresa vista l’altezza raggiunta di 1650m. Avevamo una giornata davanti, il vento era teso e fresco e per ora era sopportabile, una lunga cresta da salire, lineare sulla carta, fino ai 2181 m. della vetta di Serra del Prete; era solo da andare a scoprire le carte e giocare e l’abbiamo presa così, un passo alla volta, un orizzonte alla volta, sarebbe stato comunque un successo visto che era nata come piano B dell’escursione alla Serra Dolcedorme. Un sentiero vero e proprio non esisteva, bandierine bianco rosse erano disegnate sulle rocce affioranti e confermavano in ogni caso il percorso sull’ampia linea della dorsale che avevamo davanti; salendo, ogni salto di quota scopriva parzialmente altri lunghi tratti di salita, la cupola di una faggeta spuntava sopra l’orizzonte immediato, interrompeva la dorsale rocciosa che poi riprendeva più in alto, questa volta bianca per via della presenza di neve ma con la linea di cresta che ne era priva, le speranze di riuscire a salire crescevano dentro di noi. Raggiungiamo una piccola corona di roccette e una cinquantina di metri davanti troviamo l’inizio della faggeta di cui vedevamo solo la cupola, insediatasi sulla sella che si forma in questo tratto ha mantenuto al suo interno un importante mantello di neve, un po’ marcia, ha creato qualche difficoltà ma non tanto da crearci problemi. Ripresa la linea di cresta sgombra da neve, intorno i pendii ne erano carichi, l’orizzonte si è allungato; la dorsale saliva con pendenza leggera e costante, virava verso destra a formare un ampio circolo, la linea di cresta quasi sempre scoperta, aveva al culmine di ogni minima elevazione un grosso omino di pietre, se ne vedevano sempre due o tre contemporaneamente, dettavano la traccia aggirando dall’alto il bianco circolo delle praterie della Serra del Prete. Lontani come a continuare la linea della montagna si elevavano solitari e distinti Il Pollino e la Serra Dolcedrome. Via via che salivamo il vento rinforzava ma ad ogni passo aumentava anche la speranza di raggiungere la vetta, cosa non ipotizzata fino a pochi minuti prima; l’intenzione era sempre la stessa, continuare fin tanto ci fosse stato permesso. Saliamo senza stancarci, la dorsale è molto lunga ma sale sempre molto dolcemente e senza strappi, ad ogni omino che si raggiunge altri ne appaiono in lontananza a delineare tanti piccoli e lunghi dislivelli che conduco alla vetta. Ci accorgiamo di aver superato in altezza il vicino il Timpone della Campana, segno che siamo oltre i 1900m. per pigrizia e perché freddo non prendo l’altimetro per controllare; la giornata continuava così come è nata, sui momenti che si arrotolano uno sull’altro e senza prevedere nulla che non sia il passo successivo. Il vento intanto si va rinforzando ancora, porta quelle nuvole che avevo viste lontano e che un po’ mi preoccupavano; dobbiamo coprirci ancora, serve il cappuccio del guscio per resistere. Raggiungiamo un grosso omino dove la cresta vira ancora sulla destra, fin qui è stata quasi interamente scoperta dalla neve ma davanti sembra esserlo molto meno, sotto la nostra verticale a Nord è bello da vedere il piano Ruggio, è un’oasi verde e piatta all’interno di un mare di faggi. Siamo intorno ai 2000m. la visibilità va diminuendo velocemente, le nuvole corsiere a tratti diventano nebbia ma sono così veloci che non preoccupano più di tanto, almeno per ora; l’orizzonte ad Est si allunga su un mare bianco che sembra non avere più grandi elevazioni, solo ometti e dorsali che scorrono meno lineari verso quella che sembrerebbe essere la cima. Nuvole basse e grigie, sotto i profili lontani e confusi del Pollino, della Serra Dolcedorme e mi sembrava di intuire della Serra delle Ciavole, eravamo sospesi come in un plateau di altre latitudini, di altri continenti; il bianco uniforme della neve, una fascia stretta di montagne lontane a formare l’orizzonte e sopra un muro impenetrabile grigio scuro, a questo si era ridotto il mondo che avevamo intorno, mai ci saremmo aspettati oggi una giornata così e di trovare un ambiente di questo genere. Percorriamo una ampissima sella per raggiungere poi in leggera salita un ulteriore evidente omino, il manto nevoso cresce di spessore, a parte il vento che si andava facendo sempre più forte non c’era più nulla che ci avrebbe potuto fermare, la sensazione che la vetta fosse vicina era palpabile. E infatti superata l’ennesima piccola elevazione la sensazione che la prossima fosse l’ultima è diventata presto certezza, quell’omino circa trecento metri più avanti poco sopra la quota dove eravamo era la cima della Serra del Prete; ci arriviamo insieme alle nuvole (+2 ore), non ci voleva, il vento più forte ancora non riusciva a farle disperdere, la visibilità si è ridotta di tanto ma non così tanto da non capire in prossimità del grosso mucchio di pietre che i versanti tutto intorno prendevano a scendere. Eravamo in cima alla Serra del Prete, altro che piano B. Eravamo strafelici, non ce lo aspettavamo di raggiungerla ed è stata una sorpresa, ero felice per Marina che non c’era mai salita. Soffia e soffia alla fine il vento riesce per brevi momenti a far allargare le nuvole, per brevi momenti risplendono fazzoletti di cielo blu, l’orizzonte raggiunge le Serre di Crispo e delle Ciavole, i colori si accendono, e poi spariscono di nuovo e poi ritornano, eravamo ubriachi, per il vento che ci ha sbattuto bene, per la mutevolezza dell’ambiente che avevamo intorno e per le tante emozioni che abbiamo vissuto. Foto di vetta, con le mani congelate e la macchinetta appoggiata su una roccetta in balia delle raffiche, non avevo nemmeno modo di vedere cosa avessi inquadrato, verranno benino solo le foto fatte a Marina, quella in autoscatto è mossa e sfocata ma va bene lo stesso perché questa cima rimarrà indelebile per una serie infinita di motivi. Si ricopre tutto, rimangono solo vento, nuvole, anzi nebbia, e freddo, un invito ad alzare le tende, pochi minuti, intensi e che rimarranno dentro di noi. La via del rientro è segnata, le orme sulla neve e poi la spoglia cresta, è come riavvolgere il nastro della pellicola, ad ogni salto di quota sceso le raffiche di vento diminuiscono d’intensità e per fortuna perché in questa direzione ci soffia in faccia. Non indugiamo, non ci riposiamo, mi fermo solo per qualche scatto, Marina sempre davanti fila come un treno cercando un impossibile calore nella discesa. Raggiungiamo il bosco ma stavolta anche al suo interno il vento è insistente e non dà tregua, solo oltre la faggeta, dopo la piccola corona rocciosa, le raffiche calano davvero e avvertiamo distintamente la temperatura che risale. Quando siamo in fondo alla dorsale, sull’orlo delle pareti scoscese regno dei Pini Loricati il peggio è passato, il vento quasi cessa e ritorniamo a viaggiare lenti e a guardarci intorno. La deviazione verso il belvedere del Malvento è d’obbligo, l’affaccio è davvero notevole, affaccio sulla Calabria, siamo sulla linea di confine con la Basilicata, affaccio su Morano Calabro, sulle montagne dell’Orsomarso, sulla piana di Castrovillari più lontana e soprattutto su alcuni stupendi esemplari di Loricati che sfidano la gravità abbarbicati sulle falesie delle pendici della Serra del Prete. Laggiù scorre l’autostrada, ponti, gallerie, le strisce d’asfalto più famose d’Italia, sono quasi 1000m. più in basso, un senso di contrasto si avverte, ci sentiamo così isolati eppure anche così vicini al mondo che corre frenetico, l’Italia non è l’Alaska, per quanto ci si inoltri in montagna nessun posto è mai troppo lontano da tutto. Rimaniamo sul piazzale del belvedere per un po', ci mangiamo l’ultimo panino e soprattutto ci gustiamo il silenzio e la quiete beni preziosi di cui ti rendi conto solo quando li incontri. Il rientro per la valle di Malavento è velocissimo, tutto in leggera discesa, è un bell’esercizio per sciogliere le gambe, è solo disturbato dalla neve ormai molle; se pur corto il tragitto dobbiamo accelerare quando stiamo per uscire sui piani di Ruggio, le nuvole si andavano facendo basse e compatte in fretta e ristagnavano minacciose due o trecento metri sopra, pensiamo alle due ragazze che abbiamo visto salire mentre in discesa stavamo uscendo dalla faggeta, abbiamo sperato che si fossero accorte del peggioramento e che abbiano rigirato in tempo, lassù, soprattutto oltre i 1900m. in condizioni di nebbia fitta perdere l’orientamento deve essere cosa facilissima. Arriviamo alla macchina (+2ore) che scendono le prime gocce di pioggia, facciamo appena in tempo a toglierci gli scarponi e ci mettiamo al riparo dell’abitacolo; Il tempo di un caffè alla capanna dietro il rifugio De Gasperi, una sciacquata agli scarponi alla fonte approfittando di un momento di pausa della pioggia, un inutile sguardo alla lunga cresta che abbiamo salito completamente inghiottita dalle nuvole e prendiamo verso il B&B. Una giornata memorabile, non programmata e insperata e per questo uno dei nostri successi più belli.